Parti pilotati: record europeo

di Gianni Lannes

I bambini nascono quando vuole l’ospedale, almeno nell’universo occidentale. Secondo il Tribunale per i diritti del malato e l’associazione Cittadinanza Attiva «Da noi la maggioranza dei parti viene realizzata nelle ore della giornata sindacalmente corrette». La riprova è il ricorso al taglio cesareo: il 40 per cento dei bambini nati in Italia – primato in Europa, secondo posto sul pianeta Terra – nasce attualmente con questa operazione che in qualunque area geografica, a parere dell’Oms «Può essere giustificata clinicamente soltanto nel 10-15 per cento dei casi». In Campania, addirittura, si tocca il 51 per cento. Lo dice una recente ricerca dell’Agenzia sanitaria regionale, pubblicata sul Bollettino Epidemiologico Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità. E dire che in Svezia, ad esempio, la percentuale dei cesarei tocca lo 0,4 per cento. È più o meno agli stessi livelli in Olanda, dove lo Stato assiste ed incoraggia il parto fisiologico domiciliare. Perché dunque nel nostro Paese si taglia sempre più spesso? Sono i medici a preferire il cesareo o sono le partorienti a chiederlo? Un po’ entrambi, a quanto pare. Il pericolo di cause civili è una delle ragioni che spinge i sanitari a inforcare facilmente il bisturi. Ma non solo: un altro motivo è l’ansia degli operatori, la fretta di mettere fine a un lungo travaglio. L’Aduc, un’associazione di difesa dei cittadini, sottolinea il fattore economico: «Il cesareo è un vero e proprio intervento chirurgico, con una sala operatoria che costa, con suture, punti, antibiotici e tutti gli annessi e connessi che fanno lievitare il rimborso del servizio sanitario nazionale». Medicina Democratica rincara la dose: «Ci sono specifiche indicazioni da parte degli amministratori, in modo da favorire i bilanci delle aziende ospedaliere, giocando sulla disinformazione scientifica delle partorienti». Non si rispettano i tempi naturali del parto, ma si sceglie invece la via medicalizzata. Anche le partorienti però, tendono a chiedere l’intervento chirurgico, a volte per il timore di un lungo e doloroso travaglio. Équipe mediche sempre più anonime, macchine costrittive che controllano il battito cardiaco fetale - si arriva a fissare un elettrodo sulla testa del nascituro -, le luci delle sale parto accecanti, i rumori forti. Donne costrette a stare sdraiate, a subire interventi continui: visite vaginali, somministrazione di farmaci, episiotomia. E poi il piccolo separato fisicamente dalla madre, prima che il cordone ombelicale cessi di pulsare, allontanato da lei prima di averla guardata, annusata, di averle succhiato il colostro dal seno, riavvicinato solo quando le puericultrici decidono che è ora di allattarlo. Accade in Italia: ospedale pubblico o clinica di lusso, non fa differenza. L’arrivo della cicogna è sempre meno naturale e sempre più medicalizzato, fin dalla posizione che la donna è costretta ad assumere quando mette al mondo un cucciolo umano. Tant’è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità punta l’indice su gran parte delle strutture ospedaliere pubbliche e private del “primo mondo”, ree di «Non consentire alle partorienti di poter scegliere se partorire sedute, su un fianco, o in piedi; decidere se rifiutare farmaci (a meno che non siano necessari per correggere o prevenire complicazioni, ndr); stabilire se tenere il neonato con sé, piuttosto che affidarlo al nido». L’Oms accusa quasi tutti i Paesi industrializzati di «Aver fatto diventare una prassi consolidata, senza nessuna motivazione scientifica, la rottura artificiale delle membrane durante il travaglio e l’episiotomia». La futura mamma é obbligata a comportarsi da spettatrice, a fare quello che le dicono senza partecipare attivamente alla natalità. E il neonato, tra tutti i primati il più acquatico? Viene subito lavato e deposto in una termoculla con un braccialetto di plastica, stringato saldamente alla caviglia o al polso. Eppure è una persona delicatissima che soffre, gioisce, vede e ascolta fin dal primo istante. Il dipartimento materno-infantile dell’Oms ha elaborato un protocollo di assistenza sanitaria al parto che focalizza l’attenzione sui fattori emotivi, psicologici e umani: «È fondamentale che la donna sia protagonista attiva, messa in grado di fare scelte riguardo al tipo di parto e di analgesia, alla posizione da assumere, alla rasatura del pube, alla vicinanza della persona desiderata durante il travaglio, al maggior contatto con il neonato, all’aiuto per l’allattamento naturale«. In tema di umanizzazione del parto a livello di normative nazionali e di strutture pubbliche esigue sono le Regioni che hanno tentato di seguire le raccomandazioni dell’Oms: Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Marche. E sono appena una quarantina gli ospedali italiani che offrono il parto dolce (attivo). In Germania e Svizzera, invece, sono capillarmente diffuse le case maternità. In Italia si contano sulle dita di una mano. In ospedali e cliniche della Penisola ancora più complicata è l’alternativa del parto in acqua o in casa. Le strutture ospedaliere che offrono questa possibilità sono rare: circa una trentina. La propria abitazione al posto dell’ospedale è un’alternativa per molte europee. In Italia il numero delle gestanti che optano per questa possibilità è scarso: secondo il ministero della Sanità “mediamente duecento l’anno”. La scelta è fortemente limitata poiché non è assistita dallo Stato. Fa eccezione il Piemonte, dove chi dà alla luce un bambino in casa ha diritto al rimborso dell’80 per cento delle spese e può usufruire gratuitamente dell’assistenza sanitaria domiciliare. Anche in Abruzzo, ma solo a Francavilla (in provincia di Chieti) i bimbi sono tornati a nascere in casa Un’équipe di ostetriche consentono le donne di partorire tra le pareti domestiche. In tutte le altre regioni il costo si aggira sui 2-3 mila euro, ed è a carico della futura mamma. In ospedale, invece, dove nasce la maggior parte degli italiani, i costi per la gestante sono pari a zero. Allo Stato tra analisi preventive e degenza un parto costa circa 5.500 euro.

Parola di Odent, il medico del parto in acqua

Dopo aver diretto per anni l’esperienza pilota dell’ospedale ginecologico di Pithiviers, in Francia, Michel Odent – noto in tutto il mondo per le sue pubblicazioni in materia e per la notevole esperienza pratica – si è trasferito a Londra per studiare le conseguenze degli accadimenti perinatali sulla salute durante tutta la vita. La sua tesi fondamentale è: «Nell’acqua la donna può trascorrere parte del travaglio e far nascere il suo bambino come un piccolo delfino». Professore qual è attualmente l’obiettivo dell’ostetricia? «Controllare la nascita: non renderla più facile». Cosa ha visto nella sua lunga carriera? «La spersonalizzazione della partoriente: il modo più rischioso, perché disumano e innaturale, di mettere al mondo bambini. Hanno distrutto l’intimità necessaria perché un parto sia facile e sereno. In un ospedale tradizionale non è possibile avere né silenzio, né buio, né isolamento, quello che tutti i mammiferi cercano quando il piccolo viene al mondo». Com’è la sala parto di Pithiviers? «Senza letto, senza spigoli, il più possibile rotonda, con una pedana, tende colorate, cuscini. E una piscina d’acqua tiepida a portata di mano, perché quando il travaglio rallenta o si interrompe, le contrazioni sono dolorose e inefficaci, assecondare l’irresistibile attrazione delle partorienti per l’acqua può sbloccare una situazione, e perché è dolce per i bambini nascere nell’acqua, e a quell’elemento sono perfettamente adatti, come piccoli delfini». Tutto ha inizio dall’acqua, ma che succede negli ospedali che concentrano le partorienti? «La professionalità fondata sulla pazienza e sul rispetto è stata cancellata in nome dell’igiene e della tecnica. Invece di studiare a fondo la fisiologia del parto, si fanno moltissime visite vaginali: orribili intromissioni. Se si lascia la donna libera di muoversi, di cercare da sola la posizione più adatta, l’ostetrica esperta non ne ha nessun bisogno». La regola dell’intimità, del silenzio, del buio e della libertà è ferrea? «Soprattutto in caso di rischi: quando il bambino è podalico, quando la madre è una primipara quarantenne bisogna lasciar fare alla natura, non intervenire: Proprio i casi in cui la moderna ostetricia invece interviene a oltranza». Il messaggio di Leboyer sulla nascita senza violenza ha segnato una svolta? «È stato banalizzato. Madre e bambino devono essere lasciati soli. Allora le donne cercheranno gli occhi del figlio, e il figlio gli occhi della madre. Il primo episodio del loro rapporto è sacro».

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