L’ombra lunga di Provenzano

Immagine: © nito - Fotolia - In manette

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Sono passati sette anni dal colpaccio della Polizia, l’arresto del superboss Bernardo Provenzano, eminenza grigia della mafia e all’epoca latitante da quasi mezzo secolo. In questi sette anni di carcere, in cui Binnu ‘u tratturi – soprannome risalente a quando falciava le vite dei nemici come un trattore – è stato sottoposto al durissimo regime del 41 bis, sono tanti gli episodi successi: i tentativi di far arrivare all’esterno i famosi pizzini, il suicidio sventato, il tumore alla vescica diagnosticato nel 2011, i servizi giornalistici che ne hanno denunciato il trattamento ai limiti dell’umano, tanto da ridurlo in condizioni di salute fisica e mentale precarie.

Quest’estate era stata chiesta per Provenzano la revoca del 41 bis, motivata proprio con l’aggravarsi della malattia e con l’incapacità di intendere e di volere, che ne hanno di molto ridotto le capacità di interazione. Nonostante la favorevolezza mostrata dalle tre procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, attualmente impegnate nelle indagini sulle stragi per mano mafiosa e sugli episodi correlati, i giudici del tribunale di sorveglianza di Bologna hanno tuttavia rigettato la richiesta.

Il motivo risiede nella “acclarata pericolosità sociale del soggetto”, che, a parere dei magistrati, non deve essere sottovalutata anche in un momento in cui sembra essersi attenuata a causa dello stato fisico e mentale di prostrazione. Quel che preme al tribunale è impedire che il boss possa ottenere nuovamente la facoltà di inviare e ricevere messaggi dall’esterno, tanto più che vi sono esponenti di spicco di Cosa Nostra, primo tra tutti Matteo Messina Denaro, ancora a piede libero.

Tra le righe delle parole dei giudici si legge il sospetto, fondato, che le manifestazioni di disagio e sofferenza di Provenzano possano essere artefatte ad hoc soltanto per mettere fine al 41 bis. Il rischio che possa tornare a prendere le redini della mafia è ancora troppo elevato.

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