di Etta Ragusa
A oriente Verso Lecce, tra Grottaglie, Fragagnano, Monteparano, S.Marzano; a nord verso Bari tra Taranto, Massafra e Statte ci sono discariche per rifiuti speciali la cui volumetria complessiva, di oltre 14 milioni di metri cubi, supera di oltre 14 volte quella della provincia di Milano che ha una sola discarica di questo tipo di appena 750.000 metri di cubatura. Solo negli ultimi 9 mesi sono stati autorizzati “ampliamenti” per oltre 8 milioni di metri cubi, destinati allo smaltimento di rifiuti “non pericolosi”. In realtà si tratta di vere e proprie nuove discariche e il termine “ampliamento” salva solo apparentemente la coerenza dei piani regionale e provinciale dei rifiuti, che proclamano il no a nuove discariche, mentre in concreto serve ad accelerare l’iter autorizzatorio.In quanto alla tipologia dei rifiuti destinati a queste discariche, la definizione di “non pericolosi” è un puro eufemismo dal momento che il grado di pericolosità si misura in percentuali molto raramente controllate dagli organi preposti (ARPA e ASL soprattutto) e può essere innalzato anche di centinaia di volte suo richiesta dei gestori, alla quale quasi sempre gli organi preposti acconsentono. Inoltre, all’enormità delle cubature e alla quasi totale mancanza di controlli, si aggiungono numerosi altri fattori negativi. Le stesse autorizzazioni sono molto spesso illegittime perché rilasciate nonostante vincoli archeologici, paesaggistici, idrogeologici, vicino ai centri abitati, o in prossimità di aeroporti mentre la normativa internazionale obbliga a una distanza di non meno di 13 chilometri. Gli “ampliamenti” vengono concessi prima della chiusura delle discariche precedentemente autorizzate (vedi discariche Ecolevante e Vergine di Grottaglie e Fragagnano) o addirittura prima che queste siano entrate in esercizio (vedi impianto Italcave di Statte). La documentazione non sempre è informatizzata da parte delle istituzioni e spesso può essere consultata solo recandosi nelle rispettive sedi e dietro appuntamento. La popolazione pugliese viene tenuta all’oscuro sia della presentazione dei progetti sia delle successive e spesso tempestive autorizzazioni, benché la legge preveda che debba essere adeguatamente informata ed esprimere esplicito parere. A queste discariche sovente vengono destinati, per ordinanza del commissario straordinario che può operare “extra ordinem”, rifiuti solidi urbani spesso per niente o mal biostabilizzati, come quelli che da Lecce arrivano alla Ecolevante di Grottaglie. Addirittura si è verificato che un sindaco, è il caso di Statte, pur avendo ottenuto la sospensiva dal Tribunale amministrativo regionale al quale si era rivolto per irregolarità nelle autorizzazioni, ha rinunciato al merito del ricorso e si è accordato col gestore della discarica in cambio di royalties per il suo Comune. E quando i cittadini si mobilitano, come è avvenuto a Grottaglie, Fragagnano, Monteparano, S.Marzano, Massafra e Statte, si assiste a revoche-truffa regolarmente annullate dal Tar dietro ricorso dei gestori. Ma la caccia ai colpevoli di tanto scempio, così come il rimpallo di responsabilità, sono giochini di bassa politica: infatti la sinistra perfeziona ciò che la destra ha avviato e viceversa. Nell’esercizio del potere amministrativo manca del tutto il senso di responsabilità - mancanza che è direttamente proporzionale all’ignoranza circa questo tipo di discariche e di rifiuti - sia verso la tutela dell’ambiente che è un “bene primario”, sia verso le future generazioni. Ognuna di queste discariche per rifiuti “non pericolosi”, così come per ognuno dei suoi mostruosi “ampliamenti”, sono necessari per legge 30 anni (trenta!) dopo la chiusura e la bonifica, che già di per sé richiedono una procedura che dura qualche anno. Chiusura e bonifica poi spesso vengono a lungo rimandate a causa degli alti costi che comportano: è il caso del cosiddetto “I lotto” della Ecolevante di Grottaglie, di 330.000 mc, entrato in funzione nel 1999 e chiuso solo nel 2008, in contemporanea con il “II lotto” in esercizio dal 2000 e della capienza di 1.200.000 metri cubi. Fino ad oggi nessuna di queste discariche “autorizzate” per rifiuti cosiddetti “non pericolosi”, entrate in esercizio dalla metà degli anni ’90, ha completato il suo ciclo fino al post chiusura e bonifica, e sono molti gli interrogativi che si pongono circa un eventuale inquinamento di falde e terreno, mentre l’aria ammorbata dalla puzza già crea un evidente stato di disagio e di allarme nella popolazione soprattutto perché, anche in caso di segnalazione, o non vengono effettuati seri controlli da parte degli organismi preposti o, se i controlli ci sono, essi costituiscono occasione per calorose rassicurazioni, soprattutto da parte dell’ARPA. Che si aggiungono alle clamorose assoluzioni da parte del tribunale locale, è il caso di Grottaglie, dopo processi istruiti in seguito alla denuncia di qualche cittadino. In provincia di Taranto, così come nel resto dell’entroterra pugliese, la mobilitazione è in atto. E diventa sempre più frequente, molto ben motivata e propositiva. Spesso si ricorre anche alla Magistratura, con esiti alterni e qualche volta contraddittori tra i diversi gradi. Ma si dovrebbero migliorare i collegamenti e intensificare lo scambio di esperienze e informazioni, soprattutto di tipo sanitario scientifico e legale, tra le diverse realtà non solo pugliesi ma di tutto il suditalia, vittima di questo dissennato proliferare di discariche per rifiuti industriali che arrivano da ogni dove, in evidente contrasto con la normativa europea che obbliga a smaltire i rifiuti industriali “nei luoghi più vicini a quelli di produzione”. E a questo fine i normali mezzi di informazione non aiutano. Infatti mentre riportano sempre e con enfasi notizie di cortei, blocchi, incatenamenti e plaudono entusiasticamente a ogni delibera di “differenziata” o di “porta a porta”, spesso ignorano comunicati inviati dai comitati locali, in cui si articolano osservazioni, ad esempio quelle sollevate per la proposta di piano dei rifiuti della provincia di Taranto, o si denunciano i mostruosi ampliamenti degli ultimi mesi indicandone le responsabilità. Inoltre gli organi di informazione ufficiali (stampa e tv) non si chiedono mai se in Puglia ci sono, quali sono e come funzionano le strutture per il recupero, riuso e riciclo, strutture indispensabili per evitare l’impennata della tarsu e la purtroppo consueta e deleteria conclusione del ciclo-rifiuti con lo smaltimento in discarica o con l’incenerimento. Altro che sindrome “nimby”: i cittadini consapevoli, anche se ancora pochi di fronte allo scempio in atto, ci sono e, piano piano, stanno avviando con consapevolezza e competenza una vera e propria rivoluzione ambientale, al di là di ogni schieramento di partito o di ideologia. Hanno capito che la responsabilità verso la terra e le future generazioni non ha colore politico ma è la più alta forma di vera politica. Ora resta l’impegno di aggregare i giovani, più che con eventi di spettacolo, con progetti, anche di breve tempo, che uniscano all’azione l’informazione critica e la formazione responsabile.
… bisognerebbe fare una inchiesta sui controlli dell’ARPA e sulle strutture inadeguate che possiede (quando esistono!).
Se l’ARPa deve dare il parere per il VIA.. bloccando l’ARPa si bloccherebbero molte nefandezze a danno della nostra terra. Ci vuole un movimento popolare PUGLIESE che parta da Lecce e finisca in Capitanata… una rete di coscienze pronte a dare battaglia… a chiunque arrechi danno… una sorta di associazione di pugliesi “incazzati”… API … che se si incazzano pungono! che ne dite vi piace l’idea?
Giaco
Grande Etta