Trattativa Stato-mafia, a che punto siamo

Immagine: © BortN66 - Fotolia - Carcere duro

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Da anni si parla di una – presunta, è bene ricordarlo sempre in assenza di prove schiaccianti – trattativa tra Stato e vertici della mafia, la quale si sarebbe concretizzata all’indomani delle stragi di inizio anni novanta con l’obiettivo, per lo Stato, di porre una fine alla scia di sangue, e per la mafia di allentare il regime di carcere duro 41 bis al quale erano sottoposti molti dei suoi capi.

La vicenda continua a essere torbida e confusa, dal momento che molti dei protagonisti dell’epoca sono ancora in vita, alcuni dei pentiti-chiave come Massimo Ciancimino (figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito), Gaspare Spatuzza e Giovanni Brusca hanno cambiato più volte versione, e i sospetti gravano su politici che occuparono le più alte cariche dello Stato. Proprio oggi il dibattito sulla presunta trattativa ha compiuto alcuni passi avanti, ma con esiti diametralmente opposti.

La prima novità di oggi è la presentazione della relazione della Commissione parlamentare antimafia, guidata dall’ex ministro Beppe Pisanu. Il quadro tracciato dalla Commissione è quello di una trattativa edulcorata, stipulata tra «uomini dello Stato privi di un mandato politico e uomini di Cosa Nostra», i quali erano ugualmente «privi di un mandato univoco e sovrano». Una “ragione di Stato” traviata, messa dunque in atto da figure che si muovevano dietro le quinte, mentre chi stava in primo piano, come il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ne ignorava le azioni.
Di tutt’altro avviso i pm di Palermo, i quali nella requisitoria preliminare al processo hanno illustrato gli effetti del dispiegarsi della trattativa: Claudio Martelli fu sostituito alla Giustizia da Giovanni Conso, più remissivo, che infatti non rinnovò il 41 bis, e su tutto fu proprio Scalfaro a dare il suo via libera. Tra Roma e Palermo la distanza continua ad essere incolmabile.

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